SOQOTRA

An important source of biodiversity, 75% of the island’s land area consists of protected sanctuaries and parks,

Spectacular scenery,

An untouched wonderland.



mercoledì 6 gennaio 2010

Per capire cosa sta succedendo nello Yemen

Consiglio di non guardare la tv, i telegiornali e gran parte della stampa. La realtà è nota e ben documentata da tempo ma non dai mainstream mediatico di questi giorni.

La rete di al-Qaeda nel Paese è nota da tempo agli Usa, che da tempo si mobilitano militarmente

La situazione in Yemen oggi che in Italia e sulle prime pagine dei giornali e telegiornali non è meno tesa e complessa di quanto lo fosse ieri.

I problemi sono noti da tempo e qui ho selezionato alcuni articoli che ben rappresentano la situazione interna confermata da tutti coloro che ho incontrato e che sottolineavano una grande preoccupazione per il futuro di questo splendido paese.
Skap

I fronti interni sono tre: la ribellione della setta sciita (da lui definiti imamiti) degli zaiditi fedeli alle predicazioni dell'imam al-Houti nel nord, le tendenze secessioniste del sud del Paese e la presenza di al-Qaeda nella regione, per la precisione il gruppo Aqap, nato nel gennaio dello scorso anno dalla fusione del ramo saudita e di quello yemenita dell'organizzazione che si richiama ad Osama bin Laden.

Tutti elementi noti, da anni, a tutti coloro che si interessano di politica internazionale e che, invece, la stampa generalista ha scoperto solo all'indomani del fallito attentato del 24 dicembre scorso sul volo Amsterdam - Detroit da parte di un giovane nigeriano addestrato in Yemen.

L'amministrazione Usa ha puntato, il 2 gennaio scorso il dito contro al-Qaeda nella Penisola Arabica, in base alle prime dichiarazioni dell'attentatore, Umar Farouk Abdulmutallab. Il presidente statunitense Barack Obama, parlando attraverso il sito della Casa Bianca ha dichiarato:
"Sappiamo che ha viaggiato nello Yemen, ha raggiunto un affiliato di al-Qaeda, e questo gruppo di al-Qaeda nella penisola araba lo ha addestrato, equipaggiato con esplosivi e diretto verso l'attacco dell'aereo diretto in America. Non è la prima volta che al-Qaeda nella penisola arabica ha preso di mira obiettivi americani, ha affermato il presidente, spiegando di aver posto fra le sue priorità il rafforzamento della nostra partnership con il governo yemenita, addestrando ed equipaggiando le sue forze di sicurezza, condividendo le informazioni d'intelligence e lavorando assieme per colpire i terroristi di al-Qaeda. Anche prima di Natale ne abbiamo visto i risultati: i campi di addestramento sono stati colpiti, leader sono stati eliminati, complotti sono stati sventati. Tutte le persone coinvolte nel tentato atto di terrorismo di Natale devono sapere che ne dovranno rispondere". Una strategia che verrà messa a punto, con ogni probabilità, dal vertice convocato da Obama oggi a Washington con tutte le agenzie della sicurezza Usa". Una delle voci che Obama ascolterà è quella di John Brennan, consigliere antiterrorismo della Casa Bianca. Brennan, intervistato dalla Abc, rispondendo ad una domanda sulla futura forza di polizia antiterrorismo che Usa e Gb contribuiranno a formare, in Yemen, ha dichiarato che non si può parlare di un nuovo fronte visto che azioni sono già state realizzate in passato. "Soltanto il mese scorso noi e i yemeniti siamo stati in grado di identificare l'ubicazione di alcuni di questi responsabili e comandanti di Al Qaida", ha ricordato Brennan aggiungendo che "sono state realizzate con successo diverse operazioni, e diversi membri di al Qaeda, tra cui leader primo piano ed elementi operativi, sono morti".

Quello che né Obama né Brennan hanno detto, però, è che l'utilizzo di droni (aerei senza pilota) per colpire obiettivi strategici in Yemen è parte di una strategia di supporto militare che è iniziata a ottobre 2000, quando il cacciatorpediniere USS Cole della marina militare statunitense fu attaccato da un commando suicida, causando la morte di 17 marinai e il ferimento di altre 39 persone. Da quel momento, il governo di Saleh riceve fondi e ospita esperti Usa incaricati di formare l'esercito e l'intelligence di Sanaa. Il motivo è uno solo: lo Yemen, come l'Arabia Saudita, è un santuario dove hanno trovato rifugio molti dei mujahiddin addestrati e finanziati dagli Usa e che avevano combattuto in Afghanistan contro i sovietici negli anni Ottanta. Il Washington Post, nell'edizione del 3 gennaio scorso, ha pubblicato un'inchiesta che ricostruisce l'impegno Usa in Yemen nell'ultimo decennio e il bilancio è disarmante. L'anno scorso il Pentagono ha stanziato 67 milioni di dollari per lo Yemen, quest'anno sono arrivati a 90. L'impegno è giustificato dalla posizione strategica dello Yemen, punto di raccordo tra l'Arabia Saudita e la Somalia, altro santuario di milizie fuori controllo. Ieri il ministro della Difesa di Mogadiscio, Youssef Mohammed Adde, ha dichiarato che i ribelli somali ricevono armi dallo Yemen.

Le tensioni separatiste del sud e la presenza di al-Qaeda in Yemen non sono una novità, anzi sono note da anni a Washington. Possibile che solo il fallito attentato di Natale abbia riportato al centro dell'agenda Usa la questione? Difficile crederlo, almeno se si ritiene di non dover cavalcare l'onda dei media mainstream. L'aspetto più importante della vicenda, che vede coinvolti gli Usa e l'Arabia Saudita in prima linea, è a ribellione sciita nel nord del Paese. E' molto più facile usare il logo di al-Qaeda per spiegare a congressisti, contribuenti e giornalisti che bisogna intensificare la presenza statunitense nella regione che spiegare come il vero obiettivo sia invece l'Iran. Il governo yemenita e, meno direttamente, quello saudita, accusano proprio Teheran di essere dietro la rivolta degli sciiti in Yemen e in altri stati della Penisola Arabica. Gli attacchi che Brennan dice essere stati indirizzati contro obiettivi strategici, come quello del 17 dicembre scorso, sono invece avvenuti in zone tribali dove si combatte da anni tra i ribelli sciiti e il governo di Sanaa. Alcuni capi tribali della zona, dove gli Usa sostenevano di aver colpito 23 miliziani di al-Qaeda, hanno invece denunciato il massacro di un villaggio di civili, così come è accaduto in due occasioni per l'aviazione saudita. La possibilità di rendere accettabile all'opinione pubblica il dislocamento di nuove unità militari o d'intelligence Usa nella regione è più facile se si parla di al-Qaeda. Ma l'obiettivo, sempre più, è accerchiare l'Iran. Come dimostrato, il 2 gennaio scorso, la visita del generale Petraeus, comandante delle forze americane in Iraq e Afghanistan. Perché non è arrivato lo stesso Brennan, visto che di antiterrorismo si tratta? Per certi versi, anche la crisi finanziaria di Dubai hanno letto uno strumento di pressione su Teheran. Sono anni che in tutti gli ambienti finanziari del mondo si conosce il finanziamento in debito dell'emirato, ma le banche occidentali si sono mostrate all'improvviso più intransigenti con Dubai. Gli Emirati Arabi Uniti, in questo momento storico, assieme e India, Russia e Cina, sono la linfa vitale economica dell'Iran, stretto nella morsa dell'embargo. Ma di questo non c'è traccia nei discorsi di Obama e di Brennan come nella stampa internazionale.

13/05/2009
Yemen, un paese in frantumi
Mentre il governo di Sana'a attraversa una grave crisi economica e politica, spuntano i secessionisti

La questione meridionale. Lo scontento della popolazione del sud dello Yemen è un sentimento covato da almeno tre anni, quando ci furono le prime proteste per le pensioni dei veterani che combatterono nella guerra civile del 1994. Le loro istanze sono rimaste inascoltate dal governo, e oggi, quelle stesse persone sostengono di non credere più nei mezzi pacifici. "La causa meridionale", sostengono, ora può essere risolta solo con la scissione del sud. "Il governo si dice preoccupato per la cultura dell'odio tra i giovani del sud - ha scritto il giornalista Mohammed Al Qadhi, in un editoriale su Yemen Times - ma questi giovani, essendo nati dopo il 1990, dovrebbero essere favorevoli all'unità. Purtroppo, invece, la frustrazione provocata della povertà e dalla corruzione li hanno spinti per le strade a urlare contro il governo". L'unità del paese, insomma, in questo periodo sembra essere seriamente a rischio, e il fatto che governo e opposizione abbiano concordato di rimandare le elezioni (che avrebbero dovuto tenersi lo scorso 27 aprile) è probabilmente un segnale di debolezza di fronte alle diverse spinte centrifughe. Stati Uniti e Unione Europea non hanno gradito, sospettando che il governo di Saleh punti a rimandare le elezioni per evitare le riforme a cui sono vincolati finanziamenti e aiuti milionari, i soli che potrebbero impedire il tracollo finanziario del paese. Dei cinque milioni di dollari promessi allo Yemen dalla conferenza dei donatori di Londra, nel 2006, finora ne è stato ricevuto solo il 5 percento. E per l'anno in corso, il governo ha deciso di tagliare le spese pubbliche del 50 percento.

Piani stranieri? Intorno alla metà di aprile, un ex alleato del presidente Saleh annunciava la sua adesione al cosiddetto Movimento Meridionale. Si tratta dello Sheikh Tariq al Fadhli, un capo tribale che nel '94 si schierò dalla parte del nord contro i socialisti del sud. Al Fadhli, ex combattente in Afghanistan contro i Russi e al fianco di Bin Laden, ha ammesso di aver sostenuto il nord nella guerra civile solo per interessi personali, e ha promesso di usare tutto il suo potere tribale ed economico per sostenere la "pacifica battaglia della popolazione del sud". "All'inizio chiedevano solo il riconoscimento dei loro diritti umani, ma ora la protesta è diventata politica" ha spiegato lo stesso Al Fadhli, che non fa mistero di essere molto vicino all'ex presidente dell'ex repubblica del sud Ali Salem al Baidh, oggi in esilio in Oman. "L'unità dello Yemen - ha sentenziato - è nata deforme, è cresciuta menomata e ora, è defunta senza rimpianti". Un'altro esiliato molto influente, l'ex primo ministro della repubblica del sud, Haider Abu Bakr al Attas, ad aprile aveva gettato benzina sul fuoco dichiarando che il dialogo era fallito e aveva avvertito: "la secessione è imminente sotto questo regime". La risposta di Sana'a è stata quella di chiedere ai governi di Arabia Saudita e Oman l'estradizione di Al Attas e di Al Baidh. Anche sul fronte interno, però, sembra che le forze leali al presidente si stiano muovendo: sabato 9 maggio, 500 tra religiosi e capi tribali si sono riuniti a Sana'a per discutere della crisi. Alla conferenza stampa conclusiva il capo tribale Abdul Majeed al Zendani (che risulta sulla lista nera degli Usa come sospetto finanziatore del terrorismo) ha invitato le parti al dialogo e ha accusato: "ci sono piani stranieri per dividere lo Yemen in quattro staterelli sfruttando il caos". Mentre un altro sheikh, Sadeq Abdullah al Ahmar, della importante tribù degli Hashid, ha ricordato che "l'unità del paese è una linea rossa che non appartiene ad alcun partito, ma a tutti gli yemeniti".

10/09/2009
Fino all'ultimo ribelle
Sempre più violento il conflitto in Yemen tra l'esercito e i ribelli sciiti, mentre la popolazione civile soffre sempre più

L'ultimo bollettino di guerra recita che altri 17 ribelli sciiti sono stati uccisi dalle truppe governative dello Yemen.
Gli scontri, che durano da anni, ma che si sono intensificati negli ultimi mesi, sono avvenuti ieri sera nell'area montuosa di Saada, nella zona settentrionale del Paese arabo.

Lo ha reso noto questa mattina l'agenzia Saba, vicina al governo di Sa'ana. Altri quattro miliziani seguaci dell'imam sciita al-Houti sono stati catturati.
Non si ferma, dunque, l'operazione Scorched Earth (terra bruciata) lanciata l'11 agosto scorso dall'esercito yemenita nel nord del Paese, alla caccia dei ribelli sciiti. Bombardamenti e rastrellamenti hanno conosciuto solo una breve tregua, concordata tra le parti, ma saltata nel giro di poche ore. Obiettivo dichiarato dei militari del presidente dello Yemen Ali Abdoullah Saleh è quello di distruggere la rete logistica dei ribelli, che hanno disseminato di covi le montagne della regione di Saada e, nei mesi scorsi, erano arrivati a un passo dalle città più importanti della zona.
Le principali agenzie internazionali che si occupano di aiuti umanitari hanno lanciato da tempo un appello per le condizioni della popolazione civile coinvolta nei combattimenti, ma la tregua di venerdì scorso, per permettere l'arrivo di generi di prima necessità, ha retto solo quattro ore.

Ma chi sono questi ribelli? Gli zaidi, o huthis, sono i miliziani sciiti seguaci di Hussein al-Houti, predicatore ucciso nel 2005 e sostituito dal padre Badr al Din al-Houthi, al quale è succeduto come leader l'altro figlio Abdel Malek al-Houti. Gli zaidi rappresentano una setta dell'islam sciita che vive prevalentemente nel nord dello Yemen, paese a maggioranza sunnita. Gli zaidi si battono contro il governo centrale di Sa'ana, del quale non riconoscono l'autorità nella persona del presidente-padrone Saleh, asceso al potere con un colpo di stato nel settembre del 1962, spodestando proprio un leader della setta. Il conflitto ha raggiunto la massima intensità tra il 2004 e il 2005: più di 700 persone persero la vita negli scontri tra ribelli ed esercito. Nell'aprile del 2005 il governo cantava vittoria, ma una forma di resistenza è sempre rimasta viva.

Per il governo di Saleh, però, i ribelli tengono duro grazie al sostegno di potenze straniere. L'indiziato numero uno è l'Iran di Ahmadinejad. ''Non possiamo affermare con certezza che le autorità iraniane finanzino i ribelli sciiti'', ha dichiarato il presidente in un'intervista concessa ad al-Jazeera ieri, ''ma siamo sicuri che hanno contatti con loro perché gli iraniani ci hanno chiesto di fare da mediatori e un'analoga richiesta è giunta da Najaf, in Iraq, dal gruppo dell'ayatollah sciita Moqtada al-Sadr (notoriamente vicino agli ayatollah di Teheran ndr)''. Una vecchia teoria di Saleh che, però, rispetto alle prove che esistano questi contatti risponde un po' elusivo: ''La polizia ha sgominato due cellule di ribelli e dalle indagini è emerso che una di queste ha ricevuto 1200 dollari dall'Iran''. Un po' poco, circa 830 euro, per confermare un coinvolgimento del governo iraniano. Non è solo il presidente dello Yemen, però, che accusa l'Iran. Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba, il 1 settembre scorso, intervistato dal quotidiano del Kuwait al-Jarida, ha chiesto a Teheran di ''smetterla di interferire nelle questioni interne dei paesi arabi come lo Yemen, il Libano, i Territori palestinesi e l'Iraq''. Un attacco diretto, rivolto all'Iran che arabo non è, ma che è il simbolo dello sciismo.

La lotta in Yemen, infatti, si carica di significati che vanno ben oltre la questione locale.
Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein in Iraq, nel 2003, si è innescato un fenomeno nuovo all'interno del mondo arabo e islamico. Un grande Paese come l'Iraq, a maggioranza sciita, ma per decenni gestito dalla minoranza sunnita, ha dato inizio a una sorta di risveglio dello sciismo in tutto l'universo musulmano. Ne è nata una contrapposizione pesante, una fitna (termine con cui si designa il caos e il disordine interno alla umma, la comunità islamica) tra il potere sunnita di paesi come l'Arabia Saudita e quello sciita, amplificato dalla vittoria di Mahmoud Ahmadinejad nelle elezioni in Iran (il simbolo dello sciismo) nel 2004. Poi c'è Hezbollah in Libano, partito sciita filo iraniano, e gli sciiti in Iraq. Un blocco di potere mai visto, che ha messo in ansia in particolare paesi come il Bahrein, dove da sempre una minoranza sunnita domina una maggioranza sciita. Ansia che non risparmia neanche l'Arabia Saudita, però, simbolo dell'Islam sunnita. Un report dell'ong Human Rights Watch, diffuso il 4 settembre scorso, sottolinea come in Arabia Saudita vengano calpestati ogni giorno i diritti della minoranza sciita. Ieri, a Riad, capitale saudita, si è assistito a un fenomeno strano. Gli imam della città, che operano sotto la ferrea guida del potere politico, hanno impedito in prima persona ad alcuni cittadini dello Yemen residenti a Riad di raccogliere fondi per le popolazioni civili della regione di Saada, la zona dello Yemen dove si combatte da mesi. Secondo gli imam, e quindi secondo la famiglia reale saudita, anche la beneficenza rischia di essere una forma di finanziamento della sommossa sciita in Yemen.

Politica a parte, di quei soldi la popolazione civile ne avrebbe proprio bisogno. Secondo il World Food Programme delle Nazioni Unite, sono almeno 15mila gli sfollati interni dalla zona di Baqim, nel governatorato di Saada, dove le persone fuggono dagli scontri tra soldati e ribelli.
Secondo Aboudou Karimou Adjibade, rappresentante in Yemen dell'Unicef, il fondo Onu per i bambini, sono almeno 75mila i minorenni che hanno riportato gravi conseguenze psicologiche a causa delle violenze alle quali assistono e che subiscono da anni. Sarebbe necessario, secondo il funzionario delle Nazioni Unite, stanziare subito un fondo di almeno 6 milioni di dollari per intervenire con strutture che garantiscano protezione per i minori. Altrimenti i danni potrebbero essere irreversibili. ''In una situazione di conflitto le famiglie povere sono costrette ad abbandonare le loro case, perdendo quel poco che hanno'', racconta Nasim ur-Rehman, dell'Unicef. ''Siamo impegnati a distribuire acqua potabile e assistenza sanitaria di base nei campi profughi, per evitare la diffusione di epidemie, ma almeno il 60 percento dei bambini nei campi è denutrito. Bisogna aprire subito un corridoio umanitario''.
Sunniti e sciiti, però, non riescono a mettersi d'accordo neanche su questo.

13/10/09
In Yemen i combattimenti a Saada sono sempre più violenti, mentre le potenze regionali cominciano a muoversi

L'operazione Terra Bruciata, che l'esercito dello Yemen ha lanciato due mesi fa nel governatorato di Saada, nello Yemen settentrionale, non conosce soste. ''Fino a questo momento sono 100 i miliziani ribelli eliminati e 280 quelli feriti'', ha fatto sapere il comando delle forze speciali in un comunicato diffuso ieri. Sono così almeno 500 le vittime del conflitto iniziato nel 2004.

''I terroristi e altri soggetti pericolosi sono penetrati la notte tra il 9 e il 10 ottobre nell'area tra le caserme militari e le postazioni di sicurezza nella provincia di Saada. La risposta dell'esercito è stata pronta'', comunica il comando delle truppe d'elite del governo dello Yemen, fedeli al presidente Ali Abdullah Saleh, che le gestisce come una sorta di milizia personale, addestrata da esperti degli Stati Uniti. L'amministrazione di Washington ha un occhio di riguardo per Saleh, visto come un baluardo contro la diffusione dell'integralismo islamico nella regione che è strategicamente molto importante e ha dato i natali a Osama bin Laden.
In particolare gli Usa hanno cominciato a sostenere, con fondi e logistica militare, il governo dello Yemen dopo l'attacco contro la Uss Cole, il 12 ottobre 2000, quando un motoscafo si lanciò a tutta velocità contro l'imbarcazione della marina militare Usa ancorata nel porto di Aden uccidendo 17 marinai statunitensi.
La questione dello Yemen settentrionale è legata alla setta dei seguaci dell'imam sciita al-Houti. Questo gruppo denuncia di essere discriminato nel Paese e, circa cinque anni fa, ha dato vita a una rivolta che secondo l'intelligence yemenita sarebbe sostenuta dall'Iran.

Ieri la magistratura dello Yemen ha chiuso un ospedale nella capitale Sa'ana, finanziato da un'organizzazione non governativa iraniana e che era attivo da due anni in città. A riferirlo il network satellitare arabo al-Arabiya secondo cui, alla fine di un'inchiesta, sarebbe emerso che la struttura ospedaliera finanziava la guerriglia di al-Houti. Secondo fonti vicine ai magistrati che hanno seguito l'inchiesta, gli investigatori sarebbero venuti in possesso durante le perquisizioni di documenti inequivocabili che dimostrerebbero il transito di fondi dall'Iran all'ospedale e dall'ospedale ai ribelli. Non è la prima volta che il governo dello Yemen sostiene di avere prove della filiera di finanziamento dei seguaci di al-Houti, ma non ha mai reso pubblici questi documenti.
In soccorso del governo si è mosso anche l'imam sheikh Abdul Majid al-Zandani, leader dell'università religiosa della capitale yemenita. In un infuocato sermone ha attaccato Teheran, ritenendolo la causa dei mali del Paese. ''Vogliono esportare l'ideologia sciita con le armi'', ha tuonato al-Zandani, chiamando a raccolta gli altri stati sunniti per porre fine a queste ingerenze. L'Arabia Saudita, che secondo alcune fonti arabe ha fornito i suoi caccia bombardieri per colpire dall'alto i ribelli, ha smentito qualsiasi coinvolgimento nel conflitto, ma Riad e l'Egitto hanno sottolineato di sostenere Saleh.
Al punto che l'Arabia Saudita non ha neanche protestato per un incidente che, in altri casi, avrebbe creato una crisi diplomatica. Un caccia yemenita, impegnato in un inseguimento a un presunto gruppo di ribelli, ha sconfinato in territorio saudita e ha colpito, per errore, un ospedale ferendo leggermente due paramedici.

Il presidente yemenita ha deciso di schiacciare una volta per tutte la resistenza sciita, soprattutto adesso che è messo sotto pressione anche sul 'fronte meridionale', quello dei secessionisti del sud. Saleh è stato l'uomo forte, sul quale hanno puntato Usa e Arabia Saudita, per riportare lo Yemen all'unità e alla collaborazione con l'Occidente dopo la secessione degli anni Settanta ispirata ai principi del marxismo. Oggi le istanze secessioniste non sono più legate a motivi ideologici, ma a pragmatici motivi economici. I leader locali vogliono più autonomia dal governo centrale, soprattutto nel controllo del business del turismo.
Il 30 settembre Tareq al-Fadili, leader dei gruppi che chiedono la secessione dello Yemen meridionale o la concessione di una grande autonomia hanno organizzato una manifestazione nazionale, finita con la polizia che ha aperto il fuoco sui dimostranti uccidendone due e ferendone altri quaranta. La situazione si sta deteriorando, ma quella a nord è già drammatica: le agenzie dell'Onu parlano di 150mila profughi interni.
In un sito web ritenuto vicino ai ribelli, questa mattina, è stato postato un comunicato nel quale i dirigenti dei miliziani si dicono favorevoli all'apertura di un corridoio umanitario, sotto l'egida dell'Onu, in risposta all'appello lanciato nei giorni scorsi da John Holmes, il capo degli interventi umanitari delle Nazioni Unite. Manca il si del governo di Sa'ana, ma in passato tante tregue sono state rotte dopo poche ore.

17/09/2008 Sempre sotto tiro

Attacco suicida contro l'ambasciata Usa, molte vittime tra le guardie e feriti, illeso il personale statunitense : Razzi, spari, un'autobomba e un kamikaze hanno colpito questa mattina l'ambasciata Usa a Sanaa, capitale dello Yemen.

ref: peacereporter Naoki Tomasini, Christian Elia

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